Chi ha qualche capello bianco in testa ricorderà certe macchinine telecomandate in voga negli anni ’80 che, incapaci di aggirare gli ostacoli posti lungo il loro percorso, una volta toccati ruotavano su se stesse per tornare indietro.
Il Palermo dell’era City Football Group ricorda proprio uno di quei giocattoli del passato: per la quarta stagione consecutiva, al netto dei protagonisti – in campo, in panchina e dietro la scrivania – la compagine rosanero continua a sbattere contro l’avversario di turno senza mostrare alcuna duttilità né quella esperienza e quel pelo sullo stomaco che ci si aspetterebbe da una squadra che si colloca al secondo posto in categoria per valore del monte ingaggi.
Da un mese a questa parte, le prestazioni del Palermo sono avvilenti. In cinque partite, tra il 19 ottobre e oggi, 22 novembre, sono arrivati una vittoria, un pareggio e tre sconfitte: un ruolino di marcia da zona retrocessione, in netto contrasto con le legittime attese d’inizio stagione, tanto del club quanto della piazza.
Filippo Inzaghi, costretto a cospargersi il capo di cenere dinanzi ai tifosi presenti oggi a Chiavari e a metterci la faccia in sala stampa nel post-partita, appare una pallida copia di se stesso e, con tono rassegnato, non può fare altro, in questo frangente, che prendere atto della situazione deficitaria e puntare alla prossima partita.
Ci sono alcuni errori di fabbrica nella costruzione di questo gruppo squadra da parte del direttore sportivo Carlo Osti e dello stesso Inzaghi; eccone alcuni, in ordine sparso: non aver puntato, in sede di mercato estivo, sull’acquisto di un regista di centrocampo in grado di innescare adeguatamente esterni e trequartisti – scelta sconfessata dall’impiego fuori ruolo di Palumbo nel tentativo di mettere una pezza a tale lacuna d’organico; aver scommesso nuovamente su alcuni calciatori incapaci, a vario titolo, di garantire il necessario salto di qualità, chi per sopraggiunta fine del ciclo in maglia rosanero, chi per manifesti limiti di natura tecnica e caratteriale; aver lasciato il miglior attaccante della Serie B, Joel Pohjanpalo, orfano di un partner offensivo di prim’ordine, in grado di fornire quel supporto necessario a trovare varchi nelle difese avversarie.
Al di là delle considerazioni cui possiamo abbandonarci noi comuni osservatori sulla base di ciò che è evidente e visibile, sembra però esserci qualcosa di più profondo e sfuggente: quella costante, quel denominatore comune di mediocrità che, come una maledizione, sembra colpire chiunque metta piede a Palermo dall’avvento del CFG. Dirigenti, allenatori, giocatori che arrivano all’ombra di Monte Pellegrino con le migliori referenze e finiscono col perdersi per strada. Questo, ad oggi, rimane il più grande mistero irrisolto dalle parti di viale del Fante.
Roberto Rizzuto
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